Posts written by Wil$†

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    Muntari, intervistato dal Corriere della Sera, parla del suo presente, il Milan, e soprattutto del suo passato: l'Inter. Dure le parole su Branca: "Voleva che mi inchinassi quasi fosse il mio Dio". E su Galliani e Braida: "Impossibile trovare persone come loro"

    UNA NUOVA VITA PER MUNTARI - E' un Muntari rinato. Un nuovo giocatore e soprattutto, a detta sua, una nuova persona. L'Inter è solo un ricordo per il giocatore, e a quanto pare anche brutto

    “Al Milan ho trovato una nuova famiglia senza neppure cambiare città. Una grande famiglia perché qui ti fanno sentire importante ed era proprio quello che cercavo. Che cosa non ha funzionato all’Inter? Io mi allenavo, facevo di tutto per farmi trovare pronto, ma non so che cosa avessero in testa loro. Non mi dicevano niente. Però le cose brutte che fai ti tornano indietro. Io credo molto in Dio e Dio dice questo. Loro continuavano a fare come volevano, io continuavo a dare il massimo"

    DURO ATTACCO A BRANCA "SI CREDE DIO" - Durissimo il commento su Branca. È lo stesso Muntari a specificare e voler fare il nome del dirigente.

    "Me ne hanno fatte di tutti i colori. Non ci si comporta così tra esseri umani. Soprattutto Branca, quando entrava nello spogliatoio, voleva che mi inchinassi quasi che fosse il mio Dio. Amico, a me lo stipendio lo paga Moratti, come a te… Siamo tutti e due suoi dipendenti… La verità è che nessuno dei giocatori lo sopporta, io l’ho inquadrato subito. Io però sono più forte di lui. Io sono un uomo, io sono pulito. Lui invece è falso. Sa perché ha fatto mandare via Oriali? Perché Oriali era una persona perbene. Lui ha capito che se Oriali fosse rimasto avrebbe fatto il bene della società".

    "GALLIANI E BRAIDA, PERSONE VERE" - Non ha faticato Muntari per trovare spazio al Milan. Il ghanese si è subito ambientato, aiutato da un ambiente che lui stesso definisce unico:
    "Galliani e Braida…Impossibile trovare persone come loro. Le persone vere si vedono subito, anche dai dettagli. Branca non mi è piaciuto dalla prima volta che l’ho incontrato, di loro invece ho capito al volo che era gente per bene. Con loro rido e scherzo, sono me stesso".
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    Gutierrez, giocatore del Racing Avellaneda, ha perso completamente la testa dopo la sconfitta contro l'Independiente. Violenza anche al termine della sfida tra Tigre e Boca Juniors: coinvolto anche l’ex Fiorentina, Santiago Silva

    Lo spogliatoio del Racing Avellaneda è una vera "polveriera". Dopo la cocente sconfitta contro l'Independiente (4-1), rissa negli spogliatoi dove il colombiano Teofilo Gutierrez è venuto alle mani con alcuni compagni, che gli rimproveravano la stupida espulsione rimediata e che lo hanno costretto a tornare a casa in taxi e non in pullman col resto della squadra.

    UNA PISTOLA NELLO SPOGLIATOIO - Ma la discussione è stata talmente accesa che a un certo punto, riporta il "Mundo Deportivo", Gutierrez ha anche tirato fuori una pistola, giurando che non avrebbe più indossato la maglia del Racing. Solo in seguito si è scoperto che in realtà si trattava di una pistola giocattolo. E con la classifica che si fa in salita arrivano anche le dimissioni di Alfio Basile, che ha incassato cinque sconfitte in dieci partite da quando, a dicembre, ha preso il posto di Simeone.

    VIOLENZA ANCHE IN BOCA-TIGRE - Al termine della partita che ha visto gli Xeneize incassare la seconda sconfitta di fila, tifosi e alcuni giocatori sono venuti alle mani con i supporters locali. I calciatori del Boca stavano salendo sul pullman quando i tifosi del Tigre hanno cominciato a insultarli. A quel punto l'ex attaccante della Fiorentina Santiago Silva, assieme a Franco Sosa, Rolando Schiavi e altri compagni, hanno reagito, coinvolgendo anche i propri tifosi, in una vera e propria maxi-rissa. Necessario l'intervento della polizia, che ha cominciato a sparare in aria proiettili di gomma perché i calciatori salissero sul pullman e lasciassero lo stadio.
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    L'Atletico batte il Valencia 4-2. Partita strepitosa dei ragazzi di Simeone che dominano, segnano quattro gol con Falcao (doppietta), Miranda e Lopez ma nei minuti di recupero del primo e del secondo tempo subiscono due gol su palla inattiva che tengono vive le speranze del Valencia

    L'Atletico Madrid annienta il Valencia che subisce quattro gol e viene dominato in lungo e in largo dai Colchoneros che però non sono ancora completamente sicurI della qualificazione alla finale di Bucarest. Gli ospiti, infatti, con due gol di Jonas e Ricardo Costa su palla inattiva allo scadere del primo e del secondo tempo restano in corsa per il passaggio del turno. All'undici di Emery servirà comunque un'impresa al Mestalla (vittoria con due gol di scarto) per passare il turno anche se, alla luce di questi 90', il saldo è clamoroso per gli ospiti che sono stati stritolati dai ragazzi di Simeone (al decimo successo di fila in questa Europa League) che con un pressing asfissiante, il dominio sulle fasce e un sontuoso Falcao (autore di una splendida doppietta) ha ridicolizzato gli avversari. L'unica pecca dei biancorossi in una partita quasi perfetta è stata la superficialità sulle palle inattive, dove il Valencia ha trovato i due gol insperati.

    I Colchoneros dominano e vincono 4-2 nella semifinale d'andata - 2

    FALCAO SEGNA, JONAS IMPATTA AL 47' - L'Atletico, che si schiera in campo un 4-2-3-1 con Arda Turan, Diego e Lopez alle spalle del bomber Falcao, parte fortissimo e già al terzo minuto va vicinissimo al vantaggio con Diego che, sfrutta un bell'assist di Turan, e con un rasoterra da dentro l'area di rigore impegna Diego Alves. E' il preludio al gol dei Colchoneros che arriva poco dopo il quarto d'ora: lancio dalla destra di Juanfran per Arda Turan che soffia il pallone a un ingenuo Remì che si addormenta e favorisce il turco che dal fondo in scivoltata crossa a centro area per Falcao che da due passi incorna in rete facendo esplodere il Vicente Calderon. Il vantaggio mette il vento in poppa all'Atletico che continua a trovare terreno fertile sulla fascia destra (Arda Turan sarà un incubo per tutto il match per Mathieu e Jordi Alba) e a creare occasioni da gol. Il Valencia non esiste e si rende pericoloso solo sui calci piazzati come al 32' quando Rami stacca a centro area e mette il pallone fuori di nulla. Lo scampato pericolo non cambia la dinamica del match con l'Atletico che sfiora il raddoppio con Diego ma al 47' subisce il pari beffa del Valencia: corner dalla sinistra di Tino Costa, Soldado (al rientro dopo due partite saltate per infortunio) fa una sponda area sul secondo palo dove irrompe Jonas che da due passi mette il pallone alle spalle di Courtois.

    I Colchoneros dominano e vincono 4-2 nella semifinale d'andata - 3

    L'ATLETICO NE FA TRE, COSTA TIENE VIVO IL VALENCIA - Il gol subito sull'ultima azione di un primo tempo dominato potrebbe essere un duro colpo per il morale della squadra di Simeone che però entra in campo con grande rabbia e in cinque minuti ( dal 48' al 53') piazza un uno-due tremendo. Dopo tre minuti d'orologio su una punizione vellutata calciata da Diego, Miranda irrompe di testa e riporta avanti l'Atletico. Tre minuti ed arriva il tris: clamoroso errore in disimpegno di Topal che perde un pallone a centrocampo e spalanca un'autostrada ad Adrian Lopez che scherza Victor Ruiz, entra in area e con un diagonale rasoterra batte in uscita il povero Alves. I due gol ravvicinati dei biancorossi fanno sparire il Valencia dal campo, la formazione di Emery fatica a creare palle gol e si affida a sterili lanci in avanti per Soldado che fanno il gioco dell'Atletico che, nonostante questo risultato considerevole, continua a premere al 78' piazza il 4-1 con una fantastica giocata del solito Radamel Falcao: il colombiano scatta sul filo del fuorigioco, si fa 30 metri palla al piede rientra sul destro e con una sassata spedisce la palla sotto l'incrocio dove Diego alves non può arrivare. Per l'ex bomber del Porto si tratta del decimo gol europeo nel 2011-2012 (agganciato Huntelaar come re dei cannonieri della competizione), del 31esimo stagionale e del 26esimo sigillo in 26 incontri giocati in Europa League. Numeri pazzeschi di un fuoriclasse assoluto del calcio mondiale. Il Valencia sembra tramortito ma come nel primo tempo al 94' arriva il gol beffa degi ospiti: corner dalla sinistra del solito Tino Costa, Ricardo Costa prende il tempo ai difensori dell'Atletico e sigla il gol del definitivo 4-2. Un gol che tiene in vita il Valencia che però se vorrà battere questo indemoniato Atletico (al nono successo di fila al Calderon in Europa League ed imbattuto in Europa League dal ko con l'Udinese del 20 ottobre 2011) dovrà giocare con un diverso spirito e una maggiore attenzione in difesa.
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    Il primo round va ai portoghesi di Sà Pinto che, dopo essere andati sotto con il gol di Aurtenetxe a inizio ripresa, ribaltano il risultato con il colpo di testa di Insua e il gran sinistro dal limite di Diego Capel. Sporting Lisbona nel finale più volte vicino al 3-1. Ritorno tra 7 giorni

    Corsa, intensità, ritmo e una buona dose di orgoglio. Si può riassumere così la vittoria nel match d'andata dello Sporting Lisbona che ha annichilito per buona parte della partita, davanti al pubblico amico del Josè Alvalade, un Athletic Bilbao di cui si parlava un gran bene ma che per quello mostrato in campo stasera esce con un 2-1 che lo premia oltremisura. Il vantaggio quasi casuale di inizio ripresa firmato da Aurtenetxe infatti è stato ribaltato con merito dalla zuccata beffarda di Insua e dal gran sinistro di Diego Capel. Lo Sporting mantiene così imbattuta la propria casa - 11 vittorie e 1 pareggio nelle ultime 12 partite in Europa - e lascia a Bielsa la patata bollente di dover ribaltare il risultato al San Mames. Lì il tecnico cileno dovrà lasciare decisamente meno spazio ai portoghesi e imporre, questa volta lui per primo, il pressing asfisiante che questa sera ha premiato la maggior voglia dei lusitani.

    UNO SPORTING DA OLIMPIADE - Segui l'Europa League, ti aspetti un Athletic Bilbao "a mille" dopo lo spettacolo offerto contro United e Schalke, e invece ti ritrovi l'impressionante primo tempo dello Sporting Lisbona. Il tecnico Sa Pinto, alla vigilia stizzito dall'opinione pubblica che voleva i baschi già in finale, mette in campo un undici che per intensità e corsa si addice più a una spedizione olimpica di quattrocentisti che una squadra di calcio. Detto questo, detto praticamente tutto perché la compattezza dei lusitani e il pressing asfissiante riducono il bel calcio fatto vedere fin qui da Bielsa a poco più di una comparsata. Dopo 5 minuti a provarci dalla distanza è un terrificante sinistro di Insua. Quattro minuti più tardi è l'ottimo Ricky van Wolfswinkel a mettere i brividi alla porta di Iraizoz con una girata a centro area che per rapidità e potenza ricorda le movenze di David Trezeguet. In mezzo tanta quantità e qualità con Andrè Martins e, a sinistra, con Diego Capel che fa vedere i sorci verdi a De Marcors - ammonito dopo 5 minuti - che dopo e al povero Iraola.

    LORENTE NON VA, MUNIAIN NON E' PERVENUTO - Non è una sorpresa dunque se il primo, reale, tiro nello specchio della porta effettuato dall'Athletic arriva al minuto 38 con un girata dai 35 metri di Herrera. Llorente è infatti marcato a vista come un turista italiano nei bazar di Istanbul mentre Muniain, autentico uomo in più fin qui nel cammino dei baschi, soffre evidentemente del problema all'occhio che fino a poco prima del match l'aveva tenuto in forte dubbio.

    ATHLETIC CHE SI SALVA - Detto questo però, la superiorità e la velocità imposta dagli uomini di Sa Pinto, degna di un match di Champions, non porta il vantaggio meritato e al 45', dopo 70 metri di corsa, il pallone servito da Diego Capel al piede destro di Insua suona come una beffa essendo l'argentino un ragazzo che senza il mancino probabilmente sarebbe a fare tutt'altro nella vita. Occasione sprecata e squadre a riposo su un pareggio che premia i baschi.

    LA BEFFA - Il calcio e la definizione di "beffa" vanno spesso di pari passo però e, in avvio di ripresa, i 45mila del Josè Alvalade si ammutoliscono. Dopo una partenza a razzo infatti l'Athletic passa con la deviazione sottoporta di Aurtenetxe bravissimo a sfruttare l'indecisione della retroguardia lusitana sugli sviluppi di un calcio piazzato. Il colpo è di quelli pesanti e per 20 minuti si sente più che nelle gambe, nella testa dei giocatori dello Sporting. Il Bilbao infatti sfiora clamorosamente lo 0-2 pochi minuti dopo il vantaggio e a salvare la porta dei lusitani sul destro in mischia di Amorebieta c'è solamente il palo.

    LA REAZIONE - Lo scossone però arriva dalla panchina e produce i suoi frutti. Sa Pinto intuisce che in mezzo al campo c'è ampio spazio per gli inserimenti e sposta Izmailov centrocampista centrale. L'Athletic torna a faticare nel produrre il suo gioco e Insua, al 75', con un colpo di testa beffardo in anticipo su Susaeta coglie in controtempo Iraizoz siglando il meritato gol del pareggio. Da lì in poi l'Athletic scompare dal campo e le scorribande dei portoghesi arrivano da tutte le parti. Diego Capel, il migliore dei suoi, corona la rimonta con un gran sinistro dai 30 metri che si infila all'angolino basso della porta dei baschi. Nei 10 minuti finali lo Sporting sfiora il 3-1 con van Wolfswinkel e i neo entrati Carrillo e Pereirinha. Il doppio vantaggio però non arriva lasciando, in fondo, un po' di amaro in bocca dei tifosi biancoverdi consapevoli che in stagione, al San Mames, l'Athletic è stata ben altra squadra. Tra sette giorni capiremo quale lato della medaglia è un falso.
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    Tutti gli occhi sono puntati su di lui. Lui che sino al momento decisivo del campionato si era dimostrato un fuoriclasse anche fuori dal campo, viaggiando a fari spenti tra comparsate di pochi minuti e dribblando ogni tipo di polemica. Poi, appunto, è giunta l'ora di sfoderare tutta la classe senza anagrafe di cui dispone ancora. Non solo fuori dal campo, ma anche dentro. E la Juventus ha ritrovato lo slancio finale, il guizzo che potrebbe valere davvero il primo scudetto dopo gli anni cupi. Gol al Milan in Coppa Italia, gol all'Inter in campionato e gol decisivo contro la Lazio. Adesso i fari sono tutti su di lui, ovviamente Alessandro Del Piero.

    I tifosi non vorrebbero separarsi dal loro capitano a fine stagione, quando il suo contratto con la Juventus terminerà. Antonio Conte sembra disposto a concedergli un minutaggio più sostanzioso. Ma, soprattutto, ha finalmente capito che, per sbloccare alcune partite che nemmeno la qualità di gioco della sua squadra riesce a decidere, uno con la classe e i colpi di Del Piero serve eccome. Può essere decisivo come sta dimostrando di essere ancora. E, addirittura, c'è chi si spinge a sostenerne la candidatura per un posto al prossimo Europeo, per lui che dalla rassegna continentale del 2008 non ha più vestito la maglia azzurra.

    In tutto questo stride ancora il Del Piero personaggio. Un ragazzo di 37 anni che ha imparato a sorridere anche davanti alle difficoltà e ancora adesso, ora che potrebbe cavalcare questa ondata di consensi globali e senza maglia, non vuole affatto uscire allo scoperto con dichiarazioni forti. Un sorriso ricco di soddisfazione, un gol quando serve. E tanti dribbling alle domande incessanti dei cronisti. "Resterai il prossimo anno?", quante volte gli è stato chiesto. Troppe, verrebbe da dire, quando tutti sanno che Andrea Agnelli ha già espresso la sua sentenza lo scorso autunno e che un personaggio del genere molto difficilmente farà una retromarcia.

    Giù le mani da Del Piero, verrebbe da dire. Lasciamolo stare, ora che può godersi la propria rivincita e chiudere l'avventura da bianconero con uno scudetto che avrebbe un sapore meraviglioso anche per un campione che ha vinto tutto. Giù le mani da Alex, guai a volerne intaccare la volontà. Ora che dopo essere stato maltrattato per aver dichiarato di voler firmare un contratto in bianco può togliersi qualche sassolino dagli scarpini come ultima dichiarazione d'amore alla Vecchia Signora. Senza che nessuno, questa volta si arrabbi. Giù le mani da Del Piero, ora che sembra avviato a una chiusura di carriera in grande. Come lo juventino a cui più assomiglia, quel Giampiero Boniperti che il 10 giugno 1961, dopo lo storico 9-1 inflitto alla Primavera dell'Inter, scese negli spogliatoi e consegnò gli scarpini al magazziniere. "Basta, non gioco più", disse semplicemente.

    "Basta, lasciamolo stare", verrebbe da parafrasare ora. Lasciamolo giocare, lasciamolo spendere le sue ultime gocce di sudore in maglia bianconera, lasciamolo divertirsi in campo. E poi sarà quel che sarà. Juventus, America, ritiro. Del Piero si merita di scrivere il proprio futuro nello stesso modo in cui ha scritto le pagine più belle delle propria storia. Con un sorriso e una linguaccia di gioia e di sberleffo. Lasciamolo libero. E poi chissà che un giorno non accada l'incredibile. E Antonio Conte, l'unico uomo con i "gradi" per far convincere Agnelli, non decida che la storia di Del Piero in maglia juventina non deve finire il prossimo maggio. Quel che sarà sarà. Intanto godiamocelo sino in fondo...
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    Ci si può credere, sperare. Si può pensare davvero che tutte queste tragedie sportive siano semplici fatalità, tristissime sfortune, e sicuramente in molti casi è così. Ma la sensazione che rimane quando avvenimenti tragici (o quasi) come quelli di Muamba e Morosini si susseguono in un breve lasso di tempo è sempre la stessa: una sorta di sincera preoccupazione che si mischia a un agghiacciante sospetto.

    Perché nessuno può cancellare il diritto al pensiero critico, nessuno può obbligarci a credere che il sistema calcio sia totalmente pulito. Non è stata nemmeno eseguita l'autopsia eppure i presidenti delle squadre di Serie A e B sentono il bisogno di sottolineare quanto siano controllati i calciatori dal punto di vista medico. Di fronte a parole simili il pensiero critico corre persino contro la volontà ed emerge un'altra sensazione: che abbiano tutti la coda di paglia? Che abbiano paura che una tragedia come quella del povero Morosini possa rompere il loro giocattolo milionario?

    Ogni scandalo, ogni tragedia... Tutto è uguale nel calcio, tutto circoscritto minuziosamente. I calciatori scommettono e trattano con la malavita? Quasi certamente no; e se sì, sono pochissimi. Morosini muore sul campo a 25 anni? Non si poteva fare nulla. È il mantra calcistico dettato dal dio denaro: "the show must go on" e chissenefrega. Qualche minuto di silenzio, una decina di partite rinviate di pochi giorni e si riparte come se nulla fosse stato, immacolati.

    Vietato, vietatissimo pronunciare la parola doping, tanto più se si allarga il discorso all'uso smodato di integratori, infiltrazioni e via dicendo. Non sarebbe "politically correct", ma fa parte di quel pensiero critico che ha sfiorato le menti di tutti nel sabato calcistico più triste del 2012. Morosini non c'entra nulla, non ha senso fare polemica sulle tragedie, ma se questo sospetto continua a sfiorarci vuol dire che è necessario approfondire il tema, fare chiarezza.

    Questi episodi devono rappresentare uno stimolo per abbattere quella coltre di dubbi che da tempo offusca il rapporto tra doping e calcio. Non c'è uno studio che abbia fatto definitivamente chiarezza sui numerosi casi di SLA del recente passato, così come sono rimaste senza risposta le domande sulla clamorosa "allergia all'erba" che nella scorsa stagione colpì Sculli e Balotelli nell'arco di pochi giorni. E sui giornali italiani non si leggono più i nomi dei giocatori sorteggiati per i controlli antidoping di partita in partita, oscurati in nome della privacy.

    Il nome di Carlo Petrini ai più giovani non dirà nulla, ma si tratta dell'ex calciatore che più di tutti ha cercato di denunciare la presenza del doping dei nostri campionati (negli anni '70). Otto libri di accuse e mai una querela, mai una smentita diretta. Eppure è finito nell'anonimato, a lottare 64enne contro un glaucoma devastante figlio del sopruso di sostanze dopanti. Un'altra tragedia. (nota: Petrini è morto proprio questa notte, poche ore dopo la pubblicazione di questo post. A lui e alla sua famiglia le condoglianze della redazione di Eurosport).

    Se c'è veramente qualcosa di giusto da fare dopo la morte di Morosini è proteggere nel miglior modo possibile la salute dei calciatori. Superare quella coltre di nebbia eretta dal buonismo del denaro dando ascolto a quel pensiero critico che chiede trasparenza, sincerità. Perché nessuno vuole vedere più questi ragazzi stramazzare sul campo e morire tentando invano di rialzarsi per raggiungere quella palla che rotola; una palla che ogni giorno di più ci sembra solo un'illusione diabolica creata da interessi economici fuori controllo.
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    La sensazione era già presente da tempo. Le ultime due tristi giornate non hanno fatto altro che confermare il tutto. La Lega di Serie A non può continuare in queste condizioni, la situazione in via Rosellini è ai limiti dell'insostenibile. La prova del nove non è arrivata soltanto con il tragicomico balletto sulle date dei recuperi, ma anche dalle dichiarazioni a caldo di Adriano Galliani: "Effettivamente sì, la Lega non ha una bella immagine in questo momento, deve lavorare per migliorarla".

    Un eufemismo che, considerando chi ha pronunciato la frase in questione è un personaggio apertamente schierato dalla parte del presidente Maurizio Beretta. Adesso, però, serve una svolta reale. Perché dopo aver visto i club di massima divisione darsi battaglia sui diritti tv, ripartizione delle risorse, bacini di utenza e questioni varie ed eventuali, non si può tollerare più qualcosa del genere.

    Il nostro calcio ha bisogno di guardare al futuro e per farlo ha bisogno di una "Confindustria" che lavori davvero in una direzione chiara e precisa. Una Lega che sia effettivamente tale e non vada avanti soltanto a strappi. Il domani è dietro l'angolo, basta attendere che il mandato di Beretta - dimissionario da più di un anno - si concluda. Poi, in un modo o in un altro, si dovrà voltare pagina.

    Ma che futuro ci attende? Difficile dirlo ora. Ora che le tensioni sono ai massimi livelli. L'Inter, per bocca del combattivo Ernesto Paolillo, ha dichiarato guerra a Beretta, visto come uomo di Galliani. Il tutto mentre Franco Baldini, da poco rientrato nel "giro", ha spedito una stilettata a chi discuteva stucchevolmente di date a poche ore dalla morte di Piermario Morosini. Dichiarazioni che non sono piaciute a Claudio Lotito, che immediatamente ha dato al romanista del "dirigente transeunte".

    Situazioni paradossali che riflettono la surreale situazione all'interno di via Rosellini. Una situazione che forse era tollerabile in passato, negli anni delle vacche grasse, ma che di questi tempi non è affatto accettabile. Perché ora che il nostro calcio vive un momento di crisi, è indispensabile virare compatti verso il futuro. Altrimenti, il rischio è quello di finire tutti assieme nel baratro.
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    La comunicazione nel mondo di oggi è importante e lo sanno anche in calciatori, che con Facebook, Twitter e i social network non sono mai stati così vicini ai tifosi. Di cui riescono persino a sentire le sensazioni e gli umori in maniera diretta, cosa che fino a qualche anno fa non succedeva. Comunicare e farlo tramite i canali giusti è fondamentale, e lo sanno sia Alessandro Del Piero che Zlatan Ibrahimovic: due campioni di cui tanto si parla, soprattutto in chiave di immediato futuro.

    Succede che in un inutile martedì di metà aprile vengano pubblicate due interviste esclusive: Alex Del Piero parla a Vanity Fair, mentre le parole di Ibra vengono raccolte direttamente da Milan Channel. "E chissenefrega dove hanno parlato? Ormai questi calciatori non smettono mai di aprire bocca, che differenza fa se dicono una cosa all'uno o all'altro?", direte voi. Un particolare di poca importante come questo però non è irrilevante per chi, come noi, a queste cose "deve" necessariamente fare attenzione. Anche perché a volte è importante sì cosa si dice, ma anche il come, il perché e, in questo caso, a chi.

    Del Piero a Vanity Fair: "Sognavo di chiudere la carriera alla Juventus; ora però le cose sono cambiate. L'annuncio di Agnelli mi ha sorpreso, ma un capitano non deve dimenticare i propri doveri". E ancora: "Questa è la stagione più complicata della mia vita, perché mi ha messo di fronte a una realtà che non avevo mai conosciuto: la realtà di chi gioca poco o niente".

    Ibrahimovic a Milan Channel: "Il Milan mi ha riportato il sorriso e la voglia di giocare, il Milan è il mio futuro. Non ho motivo di dire altre cose: gioco bene perché sto bene qui, dentro e fuori dal campo. Più di così non posso avere. Dopo le vacanze tornerò a fare la preparazione con questa maglia addosso".

    Molto semplice: uno saluta la truppa, l'altro no. Uno sfrutta un mezzo di comunicazione esterno per far sapere il proprio pensiero, una volta per tutte, ad appassionati e tifosi: Del Piero alla Juventus ci voleva stare ma non glielo hanno permesso. "Arrabbiatevi con loro, non con me", è il messaggio. L'altro, Ibra vuole mettere a tacere tutte le illazioni che lo vogliono, come gli capita spesso, con il mal di pancia e sul piede di partenza: lo svedese non si è mai fatto problemi a dirlo quando le cose non giravano a dovere, la dichiarazione a Milan Channel, canale preferenziale rossonero, è un ulteriore messaggio ai tifosi. "Io qui ci sto bene, ho le chiavi della squadra, chi me lo fa fare di andare via?".

    Due messaggi, spediti da canali diversi, con un unico obiettivo: comunicare. Il proprio amore incondizionato per una squadra, ma non per la dirigenza a capo di essa, da parte di Alex. Semplicemente la propria volontà di continuare il cammino intrapreso, una volta trovata la giusta serenità, da parte di Ibra. E poi, chi ha orecchie per intendere, intenda.
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    Non ce ne voglia André Villas Boas, ma il Chelsea ha finalmente trovato il vero erede di José Mourinho. Arrivato a Londra per emulare le gesta del suo maestro, il tecnico portoghese è stato schiacciato dallo spessore di uno spogliatoio che non lo ha mai digerito, sopportato, e che alla fine lo ha condannato. Non era un fenomeno prima, non è un brocco ora. Villas Boas, infatti, ha tutti i mezzi per seguire le orme del suo mentore - di cui era non solo vice ma soprattutto il tattico - ma dal quale non ha mai imparato l'arte del comando. Così come Roberto Di Matteo, che ha tutte le carte in regola per diventare un grandissimo tecnico.

    Lo ha dimostrato mercoledì sera, davanti a milioni di persone incredule davanti alla tv. Barcellona bruttino (vero), sfortunato (verissimo) e alla fine inaspettatamente battuto. Non succede tutti i giorni vedere la squadra più forte del mondo in difficoltà. Era successo nel 2009 sempre contro il Chelsea (di Hiddink), bocciato solo dai disastri di Ovrebo e dalla magia di Iniesta, e l'anno dopo contro l'Inter di Mourinho. Ecco, questo Chelsea dallo spirito tremendamente inglese ma con un inguaribile cuore italiano griffato Di Matteo assomiglia tanto a quella Inter. C'è solo un modo per battere il Barcellona: atteggiamento completamente difensivo, squadra molto fisica e un po' di fortuna. Quella serve sempre: nel calcio, come nella vita.

    Ecco allora che la tattica studiata da Di Matteo assomiglia tanto a quella di Mourinho. Difesa ermetica, con due giganti in mezzo — Terry alla Samuel e Cahill simile a Lucio, un terzino completamente bloccato in difesa (Ivanovic) e un altro capace sia di difendere ma anche di dar respiro alla manovra con tempestive e impreviste accelerazioni. Questa volta, a differenza di due anni fa, è stata la fascia sinistra — con Cole e non Maicon — a dar fastidio alla difesa blaugrana. Poi due centrocampisti tosti a formare una diga insormontabile davanti alla difesa: due pedine fondamentali per costruire una gabbia - esclusivamente a zona - per Messi, che vanno anche a comporre il primo strato di quella doppia linea Maginot formata da 9 giocatori, più portiere ovviamente. Una soluzione per togliere spazi ai giocolieri di Guardiola.

    Infine la fase offensiva, mascherata. Lampard assomiglia tantissimo a Sneijder: centrocampista dai piedi buoni, il primo a portare il pressing per recuperar palla per poi provare a tagliare in due la difesa avversaria con repentine verticalizzazioni. Come in occasione del gol che ha deciso il round dl Bridge. Palla sradicata dai piedi di Messi, verticalizzazione improvvisa per Ramires e gol di Drogba. L'ivoriano come Milito: bomber implacabile in area di rigore, capace di far reparto da solo, e in grado di attaccare gli spazi in verticale. Infine gli esterni, con Mata nel ruolo di Pandev e proprio Ramires in quelli di Samuel Eto'o. Con il dovuto rispetto.

    Tante le somiglianze, non trovate? Uscire dal Camp Nou con il biglietto della finalissima di Monaco non sarà una passeggiata. Anzi. Servirà un'impresa. Chissà che Di Matteo non ci riesca. Nel frattempo i tifosi del Chelsea — e lo stesso Abramovich — si possono finalmente godere il vero erede del tanto rimpianto Josè Mourinho. Roberto Di Matteo: da tappabuchi provvisorio e quasi improvvisato, a Special Two.
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    Mancano sei partite al termine del campionato: sei partite in cui può ancora succedere di tutto. Questo piccolo schemino lo avevano già fatto a -10 dal termine, ora che le partite da giocare si sono quasi dimezzate è giusto riproporre una tabella che chiarisca e definisca al meglio i ruoli in questo avvincente finale di stagione. Il calendario è "compresso": tra anticipi e posticipi si giocheranno cinque partite in sedici giorni, praticamente in campo ogni tre. Una settimana di pausa tra una gara e l'altra l'avremo solo tra la penultima e l'ultima giornata: ma in quei giorni i giochi potrebbero anche essere già definiti.

    CORSA SCUDETTO (Juventus 68 punti, Milan 67) - E' cosa nota, se lo giocano Juventus e Milan, in rigoroso ordine di classifica. La formazione di Conte rischia tantissimo contro la Roma, poi andrà in trasferta su campi non impossibili come quelli di Cesena e Novara. Il Lecce alla terzultima e il Cagliari (a Trieste) alla penultima potrebbero riservare sorprese. Poi l'Atalanta per chiudere, ma a questo punto i giochi potrebbero anche essere già fatti. Anche perché il Milan, che ha davanti quattro partite da 12 punti potenziali sulla carta (Bologna, Genoa, Siena e Atalanta), nella penultima se la vedrà con l'Inter, in una stracittadina che promette scintille. Si chiude a San Siro contro il Novara: per la festa scudetto o per i rimpianti di chi non ha vinto niente e che solo poco tempo fa era in corsa per il Triplete?

    EUROPA (Lazio 54 punti, Udinese 51, Roma 50, Napoli 48, Inter 48) - Di queste cinque squadre una rimarrà con l'amaro in bocca. Il Napoli è in crisi nera, Roma e Inter procedono ad alti e bassi, così come l'Udinese fino a qualche partita fa: l'unica più o meno costante è la Lazio, ma la probabile assenza di Klose da qui alla fine della stagione complica non poco i piani di Reja. Tutte comunque ancora in corsa, almeno fino alla fine, perché l'andamento lento delle cinque "sorelline" tiene i giochi assolutamente aperti. A risultare decisivi saranno molto probabilmente gli scontri diretti: la Lazio ne ha due (Udinese alla 35esima e Inter all'ultima), così come Udinese (Inter e Lazio, una dietro l'altra) e Inter (Udinese e Lazio, ma i nerazzurri devono ancora affrontare Fiorentina e Milan). Il calendario migliore è quello del Napoli (da cinque stelle solo la trasferta a Roma contro i giallorossi), mentre la Roma - prima di un finale piuttosto agevole con Chievo, Catania e Cesena - se la dovrà vedere con Juventus, Fiorentina e Napoli.

    PS - Il Napoli è già sicuro dell'Europa League (la Juve andrà in Champions): laddove riuscisse ad arrivare almeno quinto, anche la sesta andrà in Europa.

    SALVEZZA (Palermo 40 punti, Atalanta 40, Bologna 40, Siena 39, Parma 38, Cagliari 38, Fiorentina 37, Genoa 36, Lecce 34, Novara 25, Cesena 21) - Due spacciate, Cesena e Novara, le altre sono in corsa, anche se pare onestamente difficile considerare "a rischio" Palermo, Atalanta, Bologna e Siena (che però ha bisogno di ancora qualche punticino). Più facile che a giocarsi la salvezza siano allora le altre (Parma, Cagliari, Fiorentina, Genoa e Lecce), ma molto, anzi tutto dipenderà dal Lecce. La quota salvezza (che difficilmente sarà di 40 punti) la stabilirà l'andamento della formazione di Cosmi, che però ha un calendario terribile: Lazio, Napoli, scontro diretto con il Parma, Juventus, e poi Fiorentina e Chievo nelle ultime due giornate. Fiorentina e Genoa non stanno bene, e potrebbero accusare la poca abitudine nel gravitare nelle zone basse della classifica. Un po' come la Sampdoria l'anno scorso: e tutti ricordiamo com'era andata...
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    Grandissima prestazione dei padroni di casa nella semifinale d'andata di Champions: in gol Ribery (viziato da un fuorigioco), pari nella ripresa di Ozil, ma poi si gioca solo nella metà campo degli spagnoli (sei ammoniti) fino al 2-1 meritatissimo

    Bestia nera? Altroché. Il Real a Monaco di Baviera non aveva mai vinto, portando a casa un solo pareggio su nove sfide. La serie si allunga. E mamma mia che Bayern! I madrileni cadono 2-1 nella semifinale d'andata di Champions e devono essere contenti se al Bernabeu, mercoledi' 25, al ritorno, potranno partire con un passivo così abbordabile. Partita perfetta dei tedeschi, che per 90 minuti hanno fatto impazzire gli uomini di Mourinho (sei madrileni ammoniti a fine match). Difficile parlare di piccolo Real, molto più facile osannare la grande tenacia e forza di volontà dei bavaresi, che hanno chiuso il match a un minuto dalla fine con un gol di Mario Gomez dopo una ripresa giocata nella metà campo degli ospiti. Ozil, infatti, 8 minuti dopo l'intervallo aveva rimesso le cose a posto per una squadra in cui è mancato Ronaldo e che giustamente era andata al riposo sotto 1-0 col gol di Ribery.

    FURTO IN SPOGLIATOIO — Prepartita pepato: sparite dagli spogliatoi del Real Madrid sei paia di scarpini (tre di Cristiano Ronaldo e altrettanti di Benzema e di Ozil) e tre magliette (una sempre di Ronaldo). Mourinho alla fine stupisce tutti e non rinuncia al trivote, piazza Ozil a centrocampo, con Marcelo in panchina e il 4-2-3-1. Heynckes conferma le indiscrezioni della vigilia: Bayern Monaco con Luiz Gustavo incontrista in mezzo al campo a dare una mano a Schweinsteiger, Muller in panchina e Kroos, che garantisce più copertura, a ridosso di Mario Gomez.

    alta tensione — La partita è bellissima e si infiamma presto: squadre cortissime e molto aggressive su ogni portatore di palla. Risultato: ogni singolo errore rischia di costare caro. La tensione è alle stelle e il Real, che ha dalla sua una migliore qualità nei singoli, prova a prendere in mano la partita con possesso palla prolungato, grazie al quale staziona a lungo nella metà campo avversaria. Senza però bucare una difesa fantastica, con Lahm e Alaba eccezionali nelle ripartenze fulmimanti che mettono in crisi sistematicamente gli spagnoli. In una di queste azioni la palla arriva a Robben, che con una magia pesca in area Ribery, a terra dopo un contatto con Sergio Ramos. Per l'arbitro Webb non è rigore. Ma la partita cambia: il Real capisce che rischia e psicologicamente accusa il colpo, venendo bucato a ripetizione grazie ai piedi di un Kroos da applausi che lancia Gomez, Ribery e Robben da tutte la parti. E al 17' il Bayern è in gol. Angolo: palla ribattuta (con la mano?) da Sergio Ramos e Ribery da dentro l'area scarica il destro aiutato anche da Luiz Gustavo in fuorigioco che copre la vista a Casillas. A questo punto saltano tutti gli schemi: squadre lunghissime e una serie infinita di azioni da una parte e dall'altra che rendono la partita bellissima e da cardiopalma, giocata a mille all'ora. Due le occasioni più importanti, nel giro di un minuto: grande Neuer su Benzema e subito dopo altrettanto bravo Casillas su Gomez. In mezzo tanta buona volontà di Ronaldo e Ozil da una parte, e Ribery, Kroos e Robben che spiccano fra i padroni di casa.

    reazione — Il Real torna in campo e gioca più di squadra costruendo molto più di prima e ragionando di più. E il Bayern è lì che aspetta ogni occasione per ripartire veloce per far male. Ma paradossalmente il gol dei blancos arriva dopo 8 minuti della ripresa, ma su una ripartenza: Ozil porta palla, serve Ronaldo che calcia fiacco su Neuer, la palla arriva a Benzema che approfitta della difesa dei bavaresi mal schierata per portarsi alla destra dell'area e crossare verso Ronaldo, che quasi perde il contatto con il pallone, ma recupera sulla linea e rimette al centro, dove Ozil è pronto e mette dentro senza problemi. A quel punto il Bayern reagisce furiosamente e prende in pugno il match, chiudendo a lungo il Real nella sua metà campo, con Robben, Kroos e Ribery scatenati. La palla circola tutta intorna all'area, ma non passa, anche grazie a due errori di Gomez, uno clamoroso su un rinvio mancato di Sergio Ramos. Un tempo praticamente giocato nella metà campo madrilena, con Mourinho che inserisce Marcelo per Ozil che si spegne col tempo, poi Granero per Di Maria. Il Bayern non molla la presa. Heynckes toglie Schweinsteiger per Muller e i suoi mettono in crisi gli ospiti che reggono con fatica facendo falli a ripetizione. Alla fine saranno nove i gialli, sei di questi a uomini del Real. Spingi e spingi il Bayern conta sul tabellone delle occasioni almeno tre palle gol importanti, con un Gomez che è sfortunato di testa sui corner che arrivano da ogni dove in area e con Robben e Ribery in serata di grazia. E quando ormai sembrava che l'1-1 non potesse che essere l'inevitabile finale, ecco che una discesa a destra di un inesauribile Lahm apre come il burro la difesa madrilena: cross teso e Gomez, come un falco insacca. Il minuto? E' il 44'. Ancora una volta il Real torna a casa da Monaco con una smorfia di disappunto.
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    Il tecnico del Chelsea: "Il gruppo ha recuperato il suo spirito e ci crede, ma al Camp Nou sarà dura". Pep non è contento: "Abbiamo sprecato molto, contro una squadra che ha difeso in dieci e ci ha fatto gol nell'unica azione"

    Stati d'animo contrapposti, come è ovvio, al termine di Chelsea-Barcellona, semifinale d'andata di Champions League vinta 1-0 dai Blues. Ma entrambi gli allenatori restano molto calmi e fiduciosi in vista della gara di ritorno, in programma martedì prossimo al Camp Nou.

    di matteo sereno — Roberto Di Matteo non dimentica da dove è parttita la sua avventura sulla panchina dei londinesi: "Quando sono arrivato non ci pensavo neanche a poter giocare una semifinale con il Barcellona - dice davanti alle telecamere di Sky -, ho preso partita per partita, cercando di far riacquistare un po' di fiducia e spirito di gruppo a questa squadra". Il segreto per battere il Barcellona? "Bisogna essere organizzati e difendere bene, poi quando hai l'occasione buttarla dentro. Con loro ci vuole anche un pizzico di fortuna. I miei giocatori adesso ci credono, senza crederci non è possibile arrivare a questo punto e giocare in questo modo. Al ritorno, comunque, non giocheremo pensando solo al pareggio". Alla domanda se anche l'anno prossimo sarà sulla panchina del Chelsea si schermisce. "Non ci penso neanche, non si tratta di me, ma di questa grande società. Vogliamo la finire stagione il meglio possibile".

    guardiola insoddisfatto — Pep Guardiola accetta con filosofia la sconfitta di mIsura in casa dei Blues: «Il Chelsea - ha detto ai microfoni di Sky - si è difeso molto bene, la posizione di Mata ci ha creato qualche problema. Abbiamo avuto diffficoltà a segnare, ma abbiamo sbagliato molte conclusioni davanti a Cech. Siamo in semifinale Champions, abbiamo preparato bene la partita ma in certe conclusioni potevamo fare meglio. Quando gli altri difendono in dieci non è facile, poi nell'unica azione che hanno avuto hanno anche segnato".

    iniesta spera — Poco prima, era stato il campione del mondo Iniesta a commentare la gara: "Sapevamo che avrebbero cercato di sfruttare le occasioni, a noi è mancata fortuna sotto porta, però adesso abbiamo la gara in casa. Al Camp Nou abbiamo il vantaggio di avere la nostra gente che ci sostiene e dovremo essere aggressivi". Intanto, adesso il pensiero si sposta a sabato, in programma c'è il Clasico. "Questa sconfitta non influirà - assicra "don Andres" -, sabato sarà una gara differente, si lotta per la Liga, adesso dobbiamo riposarci e prepararsi al meglio possibile".
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    Ha passato la maggior parte della gara a cadere e a fare sceneggiate, ma al momento giusto ha piazzato il colpo vincente, diventando il "giant killer" della serata e così adesso è "Drogba 1 - Messi 0", come efficacemente riassume il Daily Mail celebrando il successo del Chelsea sul Barcellona con una foto a tutta pagina dell'attaccante ivoriano che fa il saluto militare alla folla, in scivolata, dopo il gol-vittoria.

    NON CHIAMATELI VECCHIETTI — Lo stesso scatto scelto dal Sun a corredo del suo "Salutes Blue, Sir" per dire che "i vecchietti" del Chelsea hanno zittito i giganti catalani (e con loro il resto dell'Europa) grazie ad una partita magari non tatticamente bellissima a vedersi ("prendete la targa dell'autobus parcheggiato sulla linea di porta del Chelsea", scherzava - ma non troppo - qualche commentatore durante la gara), ma perfetta per come è poi finita, con il genio di Messi che è rimasto intrappolato nella sua lampada almeno per una sera per merito della strenua difesa dei padroni di casa (il commento è del The Independent).

    CHELSEA "QUASI PERFETTO" — Insomma, chi sosteneva che la vecchia guardia Blues fosse ormai bollita si è dovuto ricredere, come sottolinea il Mirror Sport prendendo a prestito le parole di Roberto Di Matteo a fine gara di totale e (comprensibile) esaltazione dei suoi, che alla vigilia venivano dati per spacciati di fronte al Barcellona delle meraviglie. Non a caso, il tecnico parla di "almost perfect performance" sul Telegraph Sport, dove si dà spazio anche alle recriminazioni di Iniesta, secondo cui la vittoria del Chelsea "è stata ingiusta".

    MESSI "CLEAN UP" DAL MORSO DI DROGBA — Questione di punti di vista. Quello che resta è il successo - di misura ma sempre di successo si tratta - degli "ex ragazzini" di Stamford Bridge, capaci di "clean up the Messi", come ironicamente puntualizza il Daily Express ricorrendo ad un azzeccato gioco di parole con il cognome della stella argentina, grazie ad un monumentale Drogba (voto 8 praticamente per tutti) che "brings down Barcelona" (Times); "gave Barcelona the fear" (Mirror) ed "offers Chelsea Nou hope" (Telegraph). E così i catalani vanno a casa con i segni del "Drogba bite" sul groppone, per dirla come il Daily Star, mentre nella "gara in cinque punti" sul Guardian si sottolinea la "brutta bellezza" tattica del Chelsea, anche se già si mettono le mani avanti per il ritorno, quando Messi potrebbe non sbagliare quello che ha invece sbagliato ieri sera. Ma fino a martedì il tabellino dice Drogba 1-Messi 0 e va bene così.

    LITIGIO IN HOTEL LA SERA PRIMA — Il Sun riporta di un violento litigio scoppiato la sera prima della partita fra un gruppetto di tifosi inglesi e alcuni giocatori del Barcellona, fra cui Messi e Dani Alves, per colpa della mancata firma di una maglietta, comprata per l'occasione. Il concitato battibecco sarebbe stato ripreso da uno dei ragazzi con il suo telefonino, prima che il difensore gli intimasse si smetterla di filmare e cominciasse ad insultarlo in spagnolo. A quel punto è intervenuta la sicurezza per calmare gli animi e pare che i ragazzi siano stati costretti a lasciare l'albergo su richiesta del Barcellona, malgrado fossero ospiti regolari e paganti.
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    Nell'andata della semifinale di Champions League, i campioni in carica sprecano molto (traversa di Sanchez, palo di Pedro) e incassano il gol dell'ivoriano un istante prima dell'intervallo


    L'ultima volta che l'avevamo visto in campo contro il Barcellona, l'avevamo lasciato fuori di sé dalla rabbia: insulti all'arbitro Ovrebo e gesti rivolti alle telecamere, dopo il gol di Iniesta al 93' del match che mandò i catalani alla finale di Champions League 2009. Didier Drogba lo ritroviamo sorridente e decisivo: è lui a firmare il gol della vendetta, almeno parziale, dei Blues sui blaugrana. A Stamford Bridge, con una partita iper-difensiva, il Chelsea coglie il massimo: 1-0 nella semifinale d'andata di Champions e Barça a mordersi le mani per una traversa, un palo, per il dominio totale del gioco e per almeno altre cinque nitide palle-gol sciupate.

    difesa ultra — Ci si era chiesti a lungo, prima che iniziasse il match, quale modulo volesse adottare Di Matteo per fronteggiare i campioni di tutto: 4-3-2-1, 4-2-3-1... La domanda si rivela del tutto inutile, perché lo schieramento del Chelsea è lo stesso che Guus Hiddink adottò al Camp Nou tre anni fa: "Drogba davanti e (molto) più indietro tutti quanti". Un catenaccio all'italiana "old style", situazione che il Barça si è ormai abituato a dover fronteggiare quasi regolarmente, anche e soprattutto contro gli altri top team europei. Guardiola, dunque, non ha paura di lanciare Fabregas subito nella mischia e di zittire chi pensava che si sarebbe coperto un po' di più, magari con Keita a centrocampo. La vera scelta a sorpresa è quella in difesa: i muscoli di Piqué, che nelle mischie con gli inglesi servirebbero come il pane, rimangono in panchina, con Adriano che va a sinistra e la coppia Puyol-Mascherano al centro.

    l'episodio — Perché la tattica del bunker funzioni, occorrono essenzialmente tre cose: attenzione difensiva spasmodica, un po' di fortuna che impedisca al Barça di concretizzare le occasioni che comunque avrà e un episodio favorevole nelle pochissime volte in cui ci si avvicinerà all'area avversaria. Il Chelsea, nel primo tempo, trova tutti gli ingredienti: tiene palla solo per il 30% del tempo, trema quando un pallonetto di Sanchez (9') centra la traversa e quando Fabregas si mangia per due volte il gol del vantaggio a tu-per-tu con Cech, infine esulta proprio un istante prima dell'intervallo. L'uomo che perde palla a centrocampo è niente meno che Messi, Ramires vola via a sinistra e mette al centro il pallone che Drogba manda alle spalle di Valdes.

    sanchez sprecone — Naturale che il Pallone d'oro voglia riscattarsi appena riprende il gioco, ma i suoi primi due tentativi fanno capire che aria tirerà: slalom fino al limite dell'area e muro difensivo al momento di scaricare il sinistro. La palla-gol vera ce l'ha ancora Sanchez (11'), ma sull'assist di Fabregas il Barcellona cestina la quarta occasionissima della serata. L'errore costa al cileno la sostituzione con Pedro a metà ripresa: non cambia il tema tattico, l'intento è quello di trovare un po' di "killer instinct", inserendo uno dei giocatori più spesso determinanti nel grande ciclo di successi blaugrana. Ma anche a Pedrito l'urlo rimarrà strozzato in gola.

    palo nel finale — Il Barça continua a non sfondare lateralmente e allora Messi cerca le percussioni centrali a furia di dribbling, ottenendo soltanto punizioni dal limite puntualmente sprecate. La chance che fa spaventare i tifosi di Stamford Bridge la crea Puyol, che chiama Cech alla parata deviando un calcio piazzato di Messi, ma il brivido vero deve ancora arrivare. Il cronometro segna il 93', ma stavolta non arriva il gol di Iniesta, bensì il palo di Pedro, con Busquets che manca ancora il gol a porta vuota. Serata stregata. L'assalto del Barça riprenderà tra sei giorni al Camp Nou, ma la posizione di partenza dei campioni di Guardiola ora è davvero scomoda.
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    Il c.t. della Francia è in scadenza e la Federcalcio transalpina vuole parlare del nuovo contratto dopo gli Europei. Ma lui si guarda intorno e sull'ipotesi di nerazzurri e londinesi dice: "Prima o poi potrei decidere di allenare un club"

    Inter e Chelsea lo seguono da tempo e a Laurent Blanc la corte di nerazzurri e londinese fa un certo effetto. Anche perché la Federcalcio francese non ha ancora deciso cosa fare del suo contratto che è in scadenza e che, secondo quanto riferito in passato dal numero 1 della FFF, Noel Le Graet, verrà discusso solo dopo gli Europei. "La mia intenzione - rivela il ct dei Bleus a Le Parisien - è continuare a fare il commissario tecnico della Francia e non ho cambiato idea. Ma ancora non ne abbiamo parlato e io non sono il tipo che bussa alle porte". Ed è ovvio che se la Federazione non si muove, Blanc si guarda intorno.

    sfide eccezionali — Per la stampa francese Inter e Chelsea si sono già fatti sentire e l'ex difensore ammette che si "tratterebbe di sfide eccezionali e a un certo punto (prima o durante l'Europeo secondo il giornale parigino, ndr) potrei decidere di andare ad allenare un club. Non voglio mettere pressioni a nessuno, dico solo come la penso. Sento spesso che è il patron a decidere se prolungare o meno il contratto di un giocatore o di un allenatore, è vero, ma può anche essere il lavoratore a decidere cosa fare".

    bene didier — Insomma non è detto che Blanc dica sì a un'eventuale proposta di rinnovo. Al momento, però, il suo pensiero è rivolto all'Europeo: "Vogliamo passare il primo turno. Ribery? Ha talmente tanta qualità che merita di essere aspettato". E se Blanc dovesse lasciare la Francia, lui vedrebbe bene in panchina "Didier Deschamps, abbiamo fatto lo stesso percorso".
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