L'uomo nel corridoio

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  1. Saffo´
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    L'uomo nel corridoio


    L'uomo nel corridoio


    Dal suo volto mi sembrava molto accigliato, è forse successo qualcosa, dunque?

    No, non è possibile, il suo volto suggerisce checché d'altro e non mi fu facile intuire cosa. Era un uomo sulla quarantina, si vestiva sempre elegantemente e, sebbene avessi provato a convincerlo della stupidaggine, non si toglieva mai il suo lungo mantello nero. Di questo insieme, ciò che spicca sono i suoi occhi; gelidi; gelidi come il ghiaccio. Non si poteva certo dire che fosse un uomo d'oggigiorno ma, anzi, egli pensava e vestiva all'antica; secondo lui siamo rimasti agli anni '20?

    Beh, detto questo, non penso di dover continuare la sua descrizione e non avrei potuto continuarla nemmeno se l'avessi voluto, visto ch'egli ruppe il silenzio farfugliando qualcosa.

    Non capii cosa andava blaterando, probabilmente era uno dei suoi soliti monologhi. Speravo che finisse in fretta, visto che mi ero scocciata d’aspettare in piedi, anche se ormai ci avevo fatto l’abitudine e non mancavo di passare ore lì, imbambolata, mentre lui parlava fra sé e sé oppure al telefono; sembrerà cosa cretina alla più parte di voi, ed infatti lo è, ma c’è qualcosa di profondo che mi tiene legata a lui. Amore? No, non penso; forse lo conosco solo da troppo tempo.

    Ecco, mi chiama!

    ***





    << Agathà, ci sei? Hai un’espressione un po’ dormiente. che fai, sogni ad occhi aperti? Lo sai che non puoi farlo mentre sei al lavoro? >>.

    “Tsé”, pensai, “parla lui che blatera da solo per 2 ore”. << No, ci sono, ero un attimo sovrappensiero, mi dica… >> Le mie parole rimasero qualche momento sospese nel vuoto sicche poi quell’uomo rispose: << Meno male, avevi detto che c’erano delle cose da firmare urgentemente e che mi avevi portato il mio caffè. >> << L’ho fatto >>, risposi io, << ed eccole i documenti! >>.

    Più tempo passava, più quell’uomo mi stupiva. Vi faccio un esempio: l’altro giorno, com’ero solita, stavo passeggiando per i giardini del palazzo mentre osservavo con disprezzo i dipendenti che perdevano tempo a fumarsi sigarette in mezzo alle aiuole e notai che Steven (sì, così si chiamava quell’uomo) stava annaffiando alcuni fiori, disposti accuratamente come recinto a quel meraviglioso giardino. A quest’ora voi non vi fareste nessuna domanda, visto che non sapete che Steven ricopre il ruolo di Presidente. Ecco, ciò che mi stupiva di lui è l’uguaglianza. Per lui la condizione sociale (o gerarchica) non conta, infatti, si ritrovava ad innaffiare le piante, lui, il capo di tutto.

    Certo, posso dire che si tratta di una persona molto umile ma, suvvia, siamo serî, è pur sempre il presidente!

    Perdonatemi se v’annoio coi miei pensieri ma mi capita spesso di ritrovarmi fuori dalla realtà, in un mondo immaginario che solo io posso vedere. Ah no, non sono ciò che pensate, non sono come il sognatore delle Notti Bianche1, io sogno ciò che ho già visto e posso distorcerlo finche m’aggrada. Posso arrivare a convincermi che la mia rielaborazione della realtà sia vera. Pare assurdo, nevvero?

    Ok, devo smetterla, ho capito, fantastico troppo; non distraetemi, non chiedetemi altro.

    Dicevo, stavo percorrendo il lungo corridoio, dopo essermi congedata da Steven, per tornare nel mio modesto uffizio. Una volta entrata mi sedetti sulla mia seggiola. Cercai di concentrarmi e di fare ciò che era da fare. Non ce la feci, cedetti il mio corpo all’emisfero destro (sì, sono mancina) del cervello e mi ritrovai di nuovo nel corridoio.

    Riesco a distinguere nitidamente le fioche lampade che m’illuminano la via. Aspetta! C’è qualcuno oltre a me? Sì, direi di sì. O no? Forse mi sbaglio, non ricordo di aver incontrato nessuno in questo corridoio. Oh beh, ciò che conta ormai è il sogno, non il reale.

    Mi trovavo con questa persona nel semibuio corridoio ch’appariva d’un strano colore. Nero. Come volesse comunicarmi, come volesse dirmi che lo spazio che occupa è infinito e io non potrò riuscire mai ad attraversarlo. Anche la luce delle lampade mi parve ripetersi infinitamente in esso.

    Esitai, non sapevo se rivolgere la parola alla persona che stava, corpo chino, difronte a me. Vi ripeto, non ero sicura sul da farsi, ma feci: gli parlai.

    Oh, non pensate che io sia una di quelle che si spaventano per un insettino ma, anzi, posso sopportare ben altro.

    L’uomo (lo riconobbi, eccome se lo riconobbi, era un’apparizione costante quel figuro ne’ miei sogni) s’alzò, mi guardò e non disse nulla; o meglio, pensai non dicesse nulla: la sua espressione, i suoi occhi, mi dicevano tutto. Mi raccontavano le perfidie commesse da quell’uomo e il pentimento, il senso di responsabilità che lo opprimevano. Ad essere sincera, è la prima volta che in lui vedo l’oppressione: mi è sempre parso pentito, perso, ovunque lo trovassi, qualunque cosa avesse fatto.

    Parlo per esperienza, mi pare di conoscere quell’uomo da una vita, di aver passato con lui i miei anni migliori e poi di averlo perso. Lui non se né fece mai una vera ragione e perì nella perfidia, nell’oscurità che l’opprime nei miei sogni. Cosa ci teneva uniti? Non posso rispondere con certezza e non cercai mai di farlo, anche perché vorrei aver potuto conoscere meglio l’uomo, ch’ogni volta chiamo, mi risponde e poi ritorna al suo opre.

    perché mi giri le spalle? perché me le girasti tanto tempo fa? che t’ebbi fatto io per ricevere da te un rifiuto e da dover perdere il mio ben più prezioso? Credetemi, vi posso assicurare che persi davvero la cosa a cui tenevo di più; a cui tutti voi tenete di più. Ascoltatemi vi prego, tenetevela ben stretta, non datela a nessuno e non lasciate che nessuno ve la tolga. Oh, ma perché vi dico ‘este cose? Chi sono io per dirlo? Oh, voi non potete capire. Non potete nemmeno capire perché quell’uomo mi volta le spalle. Io prima gliele voltai e lui or com’ora ripete il mio gesto crudele.

    Vi raccomando n’altra cosa, e statemi bene a sentire, non scordatevela mai. Io compii un gesto a dir poco crudele e inumano. Or me pento, l’uomo del corridoio mi volta le spalle; la vita mi volta le spalle.


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    Edited by Saffo´ - 23/4/2012, 19:53
     
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  2. ¬Frøst`™«
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    Ho notato alcuni Ché.. sai che significano "Perché"?

    CITAZIONE (Saffo´ @ 19/4/2012, 15:58) 
    L'uomo nel corridoio


    Dal suo volto mi sembrava molto accigliato, è forse successo qualcosa, dunque?

    No, non è possibile, il suo volto suggerisce checché d'altro e non mi fu facile intuire cosa. Era un uomo sulla quarantina, si vestiva sempre elegantemente e, sebbene avessi provato a convincerlo della stupidaggine, non si toglieva mai il suo lungo mantello nero. Di questo insieme, ciò ché spicca sono i suoi occhi; gelidi; gelidi come il ghiaccio. Non si poteva certo dire ché fosse un uomo d'oggigiorno ma, anzi, egli pensava e vestiva all'antica; secondo lui siamo rimasti agli anni '20?

    Beh, detto questo, non penso di dover continuare la sua descrizione e non avrei potuto continuarla nemmeno se l'avessi voluto, visto ch'egli ruppe il silenzio farfugliando qualcosa.

    Non capii cosa andava blaterando, probabilmente era uno dei suoi soliti monologhi. Speravo che finisse in fretta, visto ché mi ero scocciata d’aspettare in piedi, anche se ormai ci avevo fatto l’abitudine e non mancavo di passare ore lì, imbambolata, mentre lui parlava fra sé e sé oppure al telefono; sembrerà cosa cretina alla più parte di voi, ed infatti lo è, ma c’è qualcosa di profondo ché mi tiene legata a lui. Amore? No, non penso; forse lo conosco solo da troppo tempo.

    Ecco, mi chiama!

    ***



    << Agathà, ci sei? Hai un’espressione un po’ dormiente. Ché fai, sogni ad occhi aperti? Lo sai ché non puoi farlo mentre sei al lavoro? >>.

    “Tsé”, pensai, “parla lui ché blatera da solo per 2 ore”. << No, ci sono, ero un attimo sovrappensiero, mi dica… >> Le mie parole rimasero qualche momento sospese nel vuoto sicché poi quell’uomo rispose: << Meno male, avevi detto ché c’erano delle cose da firmare urgentemente e ché mi avevi portato il mio caffè. >> << L’ho fatto >>, risposi io, << ed eccole i documenti! >>.

    Più tempo passava, più quell’uomo mi stupiva. Vi faccio un esempio: l’altro giorno, com’ero solita, stavo passeggiando per i giardini del palazzo mentre osservavo con disprezzo i dipendenti ché perdevano tempo a fumarsi sigarette in mezzo alle aiuole e notai che Steven (sì, così si chiamava quell’uomo) stava annaffiando alcuni fiori, disposti accuratamente come recinto a quel meraviglioso giardino. A quest’ora voi non vi fareste nessuna domanda, visto ché non sapete ché Steven ricopre il ruolo di Presidente. Ecco, ciò che mi stupiva di lui è l’uguaglianza. Per lui la condizione sociale (o gerarchica) non conta, infatti, si ritrovava ad innaffiare le piante, lui, il capo di tutto.

    Certo, posso dire ché si tratta di una persona molto umile ma, suvvia, siamo serî, è pur sempre il presidente!

    Perdonatemi se v’annoio coi miei pensieri ma mi capita spesso di ritrovarmi fuori dalla realtà, in un mondo immaginario ché solo io posso vedere. Ah no, non sono ciò che pensate, non sono come il sognatore delle Notti Bianche1, io sogno ciò ché ho già visto e posso distorcerlo finché m’aggrada. Posso arrivare a convincermi ché la mia rielaborazione della realtà sia vera. Pare assurdo, nevvero?

    Ok, devo smetterla, ho capito, fantastico troppo; non distraetemi, non chiedetemi altro.

    Dicevo, stavo percorrendo il lungo corridoio, dopo essermi congedata da Steven, per tornare nel mio modesto uffizio. Una volta entrata mi sedetti sulla mia seggiola. Cercai di concentrarmi e di fare ciò ché era da fare. Non ce la feci, cedetti il mio corpo all’emisfero destro (sì, sono mancina) del cervello e mi ritrovai di nuovo nel corridoio.

    Riesco a distinguere nitidamente le fioche lampade ché m’illuminano la via. Aspetta! C’è qualcuno oltre a me? Sì, direi di sì. O no? Forse mi sbaglio, non ricordo di aver incontrato nessuno in questo corridoio. Oh beh, ciò ché conta ormai è il sogno, non il reale.

    Mi trovavo con questa persona nel semibuio corridoio ch’appariva d’un strano colore. Nero. Come volesse comunicarmi, come volesse dirmi ché lo spazio ché occupa è infinito e io non potrò riuscire mai ad attraversarlo. Anche la luce delle lampade mi parve ripetersi infinitamente in esso.

    Esitai, non sapevo se rivolgere la parola alla persona ché stava, corpo chino, difronte a me. Vi ripeto, non ero sicura sul da farsi, ma feci: gli parlai.

    Oh, non pensate ché io sia una di quelle ché si spaventano per un insettino ma, anzi, posso sopportare ben altro.

    L’uomo (lo riconobbi, eccome se lo riconobbi, era un’apparizione costante quel figuro ne’ miei sogni) s’alzò, mi guardò e non disse nulla; o meglio, pensai non dicesse nulla: la sua espressione, i suoi occhi, mi dicevano tutto. Mi raccontavano le perfidie commesse da quell’uomo e il pentimento, il senso di responsabilità ché lo opprimevano. Ad essere sincera, è la prima volta ché in lui vedo l’oppressione: mi è sempre parso pentito, perso, ovunque lo trovassi, qualunque cosa avesse fatto.

    Parlo per esperienza, mi pare di conoscere quell’uomo da una vita, di aver passato con lui i miei anni migliori e poi di averlo perso. Lui non se né fece mai una vera ragione e perì nella perfidia, nell’oscurità ché l’opprime nei miei sogni. Cosa ci teneva uniti? Non posso rispondere con certezza e non cercai mai di rispondere, anche perché vorrei aver potuto conoscere meglio l’uomo, ch’ogni volta chiamo, mi risponde e poi ritorna al suo opre.

    Perché mi giri le spalle? Perché me le girasti tanto tempo fa? Ché t’ebbi fatto io per ricevere da te un rifiuto e da dover perdere il mio ben più prezioso? Credetemi, vi posso assicurare ché persi davvero la cosa a cui tenevo di più; a cui tutti voi tenete di più. Ascoltatemi vi prego, tenetevela ben stretta, non datela a nessuno e non lasciate ché nessuno ve la tolga. Oh, ma perché vi dico ‘este cose? Chi sono io per dirlo? Oh, voi non potete capire. Non potete nemmeno capite perché quell’uomo mi volta le spalle. Io prima gliele voltai e lui or com’ora ripete il mio gesto crudele.

    Vi raccomando n’altra cosa, e statemi bene a sentire, non scordatevela mai. Io compii un gesto a dir poco crudele e inumano. Or me pento, l’uomo del corridoio mi volta le spalle; la vita mi volta le spalle.

    Rosso = Ché Sbagliati.

    Blu = Una frase che mi suona male, che avrei cambiato.

    Ben fatto, in quanto a grammatica e proprio struttura del tema. Davvero bello, nient'altro da dire se non:

    1) Sii più attento quando scrivi, anche un accento può cambiare il senso della frase!

    (Non sono critiche, non prenderla a male.[Anche se non avrebbe senso farlo])
    Davvero bravo!

    Edited by ¬Frøst`™« - 19/4/2012, 16:24
     
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  3. Saffo´
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    mhhh non sono d'accordo sui ché. Vengono usati, lo so, come perché. Però, ad esempio, Dostoevskij, lo usa come fosse un che normale
     
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  4. ¬Frøst`™«
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    Boh, fai come vuoi, ti dico solo che significano "Perché" :P
     
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  5. Saffo´
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    Ja, ti ho detto che lo so e ho controllato per sicurezza sul dizionario, ma ti ripeto che può risultare "una licenza d'autore", come anche la parola inesistente "opre" (presa d Leopardi: "che all'opre femminile")
     
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  6. ¬Frøst`™«
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    Definiamola licenza poetica :P
     
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  7. Galéh
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    CITAZIONE (Saffo´ @ 19/4/2012, 15:58) 
    L'uomo nel corridoio


    Dal suo volto mi sembrava molto accigliato, è forse successo qualcosa, dunque?

    No, non è possibile, il suo volto suggerisce checché d'altro e non mi fu facile intuire cosa. Era un uomo sulla quarantina, si vestiva sempre elegantemente e, sebbene avessi provato a convincerlo della stupidaggine, non si toglieva mai il suo lungo mantello nero. Di questo insieme, ciò ché spicca sono i suoi occhi; gelidi; gelidi come il ghiaccio. Non si poteva certo dire ché fosse un uomo d'oggigiorno ma, anzi, egli pensava e vestiva all'antica; secondo lui siamo rimasti agli anni '20?

    Ho da farti rivedere solo questo piccolo errore, che va rivisto un po'.
    Hai erratamente sbagliato la "consecutio temporum", ovvero, per rendertela in Italiano, la concordanza nel susseguirsi di determinati tempi verbali che in questo caso riguardano una frase principale.
    Se nella principale hai due verbi, devono essere entrambi allo stesso tempo. Ti faccio un esempio pratico e stupido.
    "Andai a Lecce e incontro Nicola"
    Non è fattibile.

    Per quanto riguarda i "ché" segnalati da Frost, li hai sbagliati, ha ragione.
    Comunque ciò che Frost ha evitato di mostrarti (cosa che io avrei fatto, tzè) è quando il "che" si usa accentato.
    Il "che" Si usa in questa forma praticamente sempre, tranne nei casi in cui significa "poiché" o "perché".
    In poche parole, esistono e si possono scrivere, ma solo come causativo o altro. Non prendiamoci troppe licenze poetiche, eh, ché mi arrabbio.
    Per il resto si scrive senza accento.



    Comunque :flower: :flower: :flower: molto bravo.
    Non do un voto, io non do voti. E' particolare, questo racconto, ed è proprio il genere che piace a me. Particolare. Sei riuscito a colpirmi, dovresti ritenerti soddisfatto!
     
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  8. Saffo´
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    CITAZIONE
    Per quanto riguarda i "ché" segnalati da Frost, li hai sbagliati, ha ragione.
    Comunque ciò che Frost ha evitato di mostrarti (cosa che io avrei fatto, tzè) è quando il "che" si usa accentato.
    Il "che" Si usa in questa forma praticamente sempre, tranne nei casi in cui significa "poiché" o "perché".
    In poche parole, esistono e si possono scrivere, ma solo come causativo o altro. Non prendiamoci troppe licenze poetiche, eh, ché mi arrabbio.
    Per il resto si scrive senza accento.

    *Brucia, Dostoevskij bello, brucia*

    Comunque, grazie mille anche per le correzioni! E ricordate:
    Η μαϊμού τρωει
    La scimmia mangia
     
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  9. ¬Kurt™
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    A me piace molto :flower:
     
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8 replies since 19/4/2012, 14:58   80 views
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